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Esperire l'arte è un compito infinito che si dà alla conoscenza, in quanto è intrinseco ad essa. Una conoscenza - quella intuitiva, nel caso di Croce - che sembra essere stata attinta ad una dimensione originaria immemoriale: quella per cui l'arte è capacità di cogliere la realtà prodotta nel qui ed ora, per renderla legge dell'esperienza e immagine del suo articolarsi polifonico. Il secolo passato si apre con un'opera fondamentale, l'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale del 1902, che, nel riallacciarsi alla grande tradizione razionalistica e idealistica dell'estetica, le imprime una svolta: quella che segna il passaggio dall'arte come conoscenza (e, quindi, come espressione isolata e subordinata al comprendere) all'arte come esperienza (un'arte che, in piena autonomia, crea le proprie condizioni di possibilità). L'intuizione e l'espressione, quali fili conduttori per il risalimento alle origini dell'esperienza dell'arte, sono dunque, per Croce, i due poli di produzione ed autoriflessione della realtà e delle sue possibilità rappresentative. Possibilità che il giudizio, esteticamente, scandaglia e fonda nel dare loro il nome: quello di arte.